martedì 30 settembre 2014

Voglio un uomo 'profitterol'

Quando qualcuno mi chiede com'è il mio uomo ideale, prontamente rispondo: 

'Voglio un uomo 'profitterol' ...dolce ma con le palle!'

La tecnica di associare gli uomini ai dolci, non è mica solo mia, anzi. 

Nelle interminabili chiacchiere con amiche e colleghe, gli argomenti più diffusi sono quelli riguardanti i maschi e le ricette (proprio come le ben più famose donne e motori dei maschietti).

Si, perché un dolce possiamo modellarlo, plasmarlo con le dita. 
Solo aggiungendo o togliendo un ingrediente, abbiamo la possibilità di renderlo più adatto ai nostri gusti e alle nostre esigenze. 

Un uomo, purtroppo, no. 
O meglio, ci stiamo lavorando, ma credo che la maggior parte di noi non ci sia ancora riuscita.

Allora come si fa a sopravvivere alle due cose che le donne amano di più al mondo?

Con Ironia e preparazione.

Nasce così l’idea della mia amica e collega marchigiana, Francesca Monaco e del suo:

Manuale di sopravvivenza agli uomini e ai dolci









Un ironico viaggio nella preparazione di una serie di dolci alla portata di tutti (maschi inclusi...)

Storie, consigli pratici e ricette (dolci) spiegate passo passo per rendere più golosa la colazione, la merenda, ma anche un pranzo o una cena in coppia o con amici.

Bellissimo! e che ridere...

L'uomo 'profitterol' magari non lo trovate...nel frattempo potete iniziare a imbiancare di zucchero le vostre splendide labbra ( e anche tutta casa!)

Grazie Francesca!

lunedì 22 settembre 2014

Il giovane favoloso, diretto e reinterpretato da A-blog ( terza e ultima parte )

Terza e ultima parte ( segue le precedenti )

A Roma, lo zio Carlo lo accolse con tutti gli onori ("Ao, anvedi sto bamboccione quant'è cresciuto!"), ma su Leopardi l'imprinting della città eterna fu deludente.
"Tutto qui?!" pare abbia esclamato appena messo piede a Termini.
"Mi sembra che questa città sia piena più che altro di burini."

Rimase a Roma un annetto, durante il quale si atteggiò a superiore altezzoso e non degnò nessuno di uno sguardo.
"Per caso è di Firenze, quel gobbetto laggiù?" si chiedevano gli intellettuali.
"Macchè, viene da Recanati."
"E allora cosa c'ha da darsi tutte quelle arie?"

Ma faceva parte del carattere di Leopardi sentirsi superiore.

Per ammazzare il tempo, frequentava studiosi rigorosamente stranieri e scriveva a suo fratello:
"Caro Carlo, qua è una noia mortale, le ragazze sono quel che sono (oltretutto non capisco perché non mi si avvicinano neanche) e l'unica emozione che ho provato è stato quando ho visitato la tomba di Torquato Tasso. Torno a casa, tanto alla fine stare qui o stare a Recanati cambia poco".



Palazzo Leopardi


"E' tornato lo sfigato!" urlarono i ragazzi al circolino quando lo videro rientrare, zaino in spalla.
Leopardi era stravolto perché, ora che la rivedeva bene, Recanati gli faceva più schifo di prima e non sopportava l'idea di essere tornato da solo in quella panoramica prigione.
Dalla rabbia perse anche la vena poetica  e si buttò sulla prosa ( Operette morali ). Smise del tutto di farsi vedere in giro e il massimo che si concedeva era una boccata d'aria sul terrazzo, a cercare di adocchiare Teresa Fattorini, la figlia di un dipendente di suo padre che abitava proprio nella palazzina di fronte alle sue finestre.
"Babbo, c'è uno alla finestra che mi punta sempre"
"Lascialo stare Teresa, è Giacomo, il figlio primogenito del conte.
"Sarà anche figlio del conte, ma a me con quella gobba fa proprio impressione"
"Però hai visto che fronte alta c'ha? E' segno di una grande intelligenza e poi da che mondo è mondo i gobbi portano fortuna", la tranquillizzava il padre.

Ella (lieta e pensosa) tornava alla faticosa tela, felice di quel vago avvenir che in mente aveva. Giacomo, finita la pausa, rientrava nel suo appartamento e si ributtava alle sue sudate carte.
Non ebbe mai il coraggio di avvicinarla, di dirle una sola parola e solo dopo che Teresa fu morta precocemente di tubercolosi, egli compose un grande idillio nel quale si rivolgeva a lei chiamandola Silvia e simulando un'amicizia mai esistita.


Teresa Fattorini - Silvia

"Vado a Milano per lavoro" disse un giorno a pranzo
"Lavoro?!" trasecolò la madre "Ma se la mattina non ti degni neanche di tirare su le coperte!".
"L'editore Stella mi ha proposto di curare una pubblicazione delle opere di Cicerone".

Ma a Milano, Leopardi non si trovò bene. L'umidità gli dava noia, la nebbia lo rendeva uggioso e di fidanzate neanche il puzzo.

Finalmente trovò un po' di pace a Firenze. Nella città toscana strinse amicizia con tutto il gruppo di letterati.
" Piacere Niccolò Tommaseo. Benvenuto a Firenze mi chiamo Giovanni Battista Niccolini.E' un piacere conoscerla sono Pietro Colletta. Anche lei qui sono Alessandro Manzoni."

Era Manzoni appunto.
"Maestro! Cosa ci fa lei a Firenze?!"
"Lavo i panni!" rispose quello, sganasciandosi in una grassa risata.

Purtroppo Recanati lo attendeva. Il suo corpo lo costrinse all'immobilità assistita e Monaldo fu ben felice di riaverlo a casa.
Giacomo invece era così depresso e disilluso,
A me la vita è male mormorava quasi del tutto cieco.
"Su Giacom, non abbatterti in questo modo, cerca di reagire"
E' funesto a chi nasce, il dì natale ribatteva il poeta.


Monaldo

Per la fortuna dei posteri, egli riuscì a trovare il tempo di comporre i suoi canti più famosi: Il Passero solitario, la quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il Canto di un pastore errante dell'Asia.

Di li a poco rifece la valigia e ripartì per Napoli, seguiva un certo Ranieri che aveva insistito per averlo ospite nella città vesuviana.
"Speriamo che le temperature meridionali e una buona pizza mi siano d'ausilio" si augurò Giaky.
Ma che non stava troppo bene si capì dal titolo che attribuì a una delle sue ultime composizioni (Paralipomeni alla Batracomiomachia).

"Ti senti male?" gli domandò Ranieri.
Giacomo però, confortato dal calore dell'amicizia, si ringalluzzì e fece in tempo a scrivere anche La ginestra e il fiore del deserto,sorta di struggente testamento spirituale, dal quale viene fuori un messaggio di incredibile messaggio di speranza.

Egli ipotizzò per la prima volta che solo l'unione tra gli uomini salverà gli uomini stessi.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo/vuoi di novo il pensiero,/ sol per cui risorgeremo/ dalle barbarie in parte, e per cui solo/ si cresce in civiltà, che sola in meglio/ guida i pubblici fatti.

Sono parole che commuovono, come commuove raggiungere Recanati, parcheggiare l'auto fuori delle mura, attraversare davanti al portone di Palazzo Leopardi, pagare un biglietto che mantiene quello che promette e varcare la stessa soglia varcata da Giacomo, che fece di tutto per recidere il cordone ombelicale, ma che della sua città ha attinto tutta la sua energia e lasciato un'incredibile forza.

Al 16 ottobre
Buona visione da A-blog

ps. Lo so. Non è più il caso che io frequenti Recanati...


venerdì 12 settembre 2014

Il giovane favoloso, diretto e reinterpretato da A-blog ( seconda parte )

( seconda parte - segue la precedente )

Giacomo era fissato con la manutenzione dei quaderni, mai un orecchio, una sbavatura, mai
un' imprecisione: sembravano tenuti da frati certosini, mica da un normale adolescente.
La filologia lo affascinava, ma fu la filosofia a sconvolgerlo del tutto: dissertava su questioni di logica, morale, fisica teorica e sperimentale con la naturalezza tipica dei giovani maschi che si scambiano le figurine dei calciatori alternando i "celo" ai "mi manca".





Quando si sentì la zucca bella piena di nozioni, esclamò:
"Ora basta con tutta questa erudizione antica : mi voglio dare al bello!".
Darsi al bello per lui voleva dire creare.
E voleva dire anche scappare.

"Ma dove vuoi andare?!" gli dissero il babbo, la mamma e anche i fratelli.
"Ma non lo vedi come tu sei messo male?! Tu sembri una gruccia".
Gliela dicevano in malo modo, ma gli dicevano la verità. Leopardi non aveva ancora vent'anni e addosso portava già tutti gli acciacchi di un vecchio da ricovero. A forza di stare chino sui libri, c'aveva rimesso occhi, colonna vertebrale e salute mentale.
Non vedeva un tubo, deambulava mezzo torto, sulla schiena gli si stava materializzando un'antiestetica gobba ed era spesso cupo, malinconico, pensoso.

"Cos'hai Giaki?" gli domandavano i fratelli.
"Voglio andare via da Recanati"
"Ma perché ? Non ci vuoi più bene?"
"A voi si, certo, ma questo paese mi dà la nausea, ci sto malissimo, non lo sopporto."
"Come mai?"
"Ma non lo vedete voi stessi?! L'unico divertimento qui è lo studio. E l'unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia. Questo è il centro dell'inciviltà e dell'ignoranza europea. Questo posto è un borgo selvaggio, popolato da gente zotica e vil"

"O sfigato! Zotico e vil lo dici a qualcun'altro!" gli gridavano dalla piazzola gli altri ragazzini. "Guardati te, che c'hai i geloni sulle mani e sotto ai piedi!"

"Sentito?" commentava il poeta. "Io non ne posso più."

Il 1817 fu nella vita di Leopardi un anno di svolta: incontrò un amico e s'innamorò di una bella ragazzina.
"Non c'è cosa più divina..." scrisse nel primo verso di un idillio, ma poi lo lasciò inconcluso perché la rima inevitabile (voi la sapete tutti, no?!) che gli suonava in testa avrebbe offeso di sicuro sua cugina Gertrude che a ricambiare quel sentimento non ci pensava per niente.

Per fortuna, l'amicizia con Pietro Giordani lo aiutò a ingoiare il primo di una lunga serie di rifiuti amorosi.
"Tu sei l'unico che mi capisce" scriveva Leopardi.

Stremato dai dolori, dalla cecità, dalle delusioni amorose, avvilito insomma nel corpo e nello spirito , Leopardi un giorno disse: "Basta!" e organizzò una fuga da Recanati.

"Saverio ho bisogno del tuo aiuto" scrisse al conte Broglio D'ajano, un vecchio amico di famiglia, che si rese subito (all'apparenza) disponibile.
"Bisognerebbe che tu mi procurassi un passaporto per il Lombardo-Veneto, me ne voglio andare al Nord, senza però dirlo a nessuno."
"Vai tranquillo" lo rassicurò il conte.
Due minuti dopo, Monaldo era già al corrente dei dettagli.

"E insomma, sentiamo un po' giramondo, dove ti saresti messo in testa di scappare?" chiese Monaldo con una punta di sarcasmo.
Giacomo capì che quel nobile infame aveva cantato come un usignolo, abbassò la testa e tornò in cameretta sua.

Ma se fino a quel momento aveva retto al provincialismo addormentato di una cittadina appartenente alla stato Pontificio, da quel giorno in poi non riuscì più neanche a simulare. In casa ci stava sempre meno e sempre meno volentieri.

"Esco"
"Dove vai?"
"Su, al colle." (dell'Infinito chiaramente)






Sono mesi di dolore e solitudine, nel corso dei quali la natura gli si presenta come una madre pronta a soccorrerlo nei momenti di necessità. Non a caso il colle gli è caro, la siepe pure, il vuoto evoca interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare disse un giorno, tornando dalla quotidiana passeggiata al colle.

"Questo ragazzo non sta bene, Adelaide" disse Monaldo alla moglie, "Bisognerebbe fargli cambiare aria".
"Mandiamolo qualche settimana a Roma da mio fratello". Propose la donna.

"A Roma?!" esclamò Giaki, a cui sembrava improvvisamente di sognare. "Davvero babbo, Davvero mamma?  Non ci posso credere! A Roma! Che soddisfazione! Dopo averne studiata tutta la gloriosa storia sui libri, potrò vederne dal vero lo splendore! Andrò al cinema a vedere la Grande Bellezza, a studiare la concorrenza, a capire il perché di tanto successo!
Roma! Caput mundi arrivo!"


_fine seconda parte_ pausa vin brulè ( con questo tempo! )


A-blog- ringrazia per le immagini Sir Uccio Montevidoni














mercoledì 3 settembre 2014

Il giovane favoloso, diretto e reinterpretato da A-blog ( prima parte )

E' freschissima di questi giorni la notizia che le Marche sono in scena alla 71°Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia con "Il giovane favoloso", il film di Mario Martone ispirato alla vita di Giacomo Leopardi.

Il GIOVANE FAVOLOSO (clip anteprima)

Ora, a parte il fatto che da quando ho appreso la notizia, così marchigiana come sono, mi sento gasatissima e mi muovo come se vivessi in un set cinematografico, confesso che sono un tantino offesa. Anzi proprio offesa!

No dico: ma come mai nessuno mi ha interpellato come fonte ufficiale?! oppure scritturato per la parte (che ne so) della madre Adelaide Antici, per esempio ( non foss'altro per il piacere di avere almeno in un film un figlio che studia molto ) bah...?!

Comunque stante il fatto, mi toccherà raccontarvi la vera storia di Giaki, quella autentica A-blog, che è un tantino diversa da quella che sapevate finora.

Solo, triste, mezzo ciecato, tartassato dai geloni e gobbo.
Nessun poeta più di Giacomo Leopardi si è guadagnato in tempo reale la fama di infelice.
Non ci fu neanche bisogno di aspettare che morisse per inserirlo nel catalogo degli autori più depressi della storia della letteratura di tutti i tempi e luoghi.

Egli era ancora vivo e (abbastanza) vegeto, quando i suoi compaesani, scorgendolo affacciato d'in su i veroni del paterno ostello, mormoravano: "Guarda lassù chi c'è: lo Sfigato!".

Nessuna biografia impietosisce uno studente più di quella leopardiana.
Nelle femmine scatta l'istinto della crocerossina e tutte vorrebbero essere vissute tra il 1798 e il 1837 e aver avuto la fortuna di incontrarlo su un ermo colle, a chiacchierare da solo dietro una siepe che dall'ultimo orizzonte il guardo esclude, per consolarlo.
Nei maschi invece si risveglia l'atavico gesto antisfiga della grattugia dei bassi fondi.

"Leopardi? Per carità! Quello porta male!"

Nulla di più lontano dalla verità.

Innanzi tutto Giaki non era quel pessimista che ci hanno fatto credere e a dirla tutta non porta affatto male. Anzi. Se c'è un autore grazie al quale un giovane di oggi può sperare in un acchiappo sicuro , quello è proprio lui: il disagio e la difficoltà esistenziale conferiscono un fascino esagerato! (vedi Christian Grey /50 sfumature di grigio/ aveva studiato Leopardi sicuro).

"Si, però intanto Leopardi non ebbe mai una donna" potrebbe ribattere qualcuno.
Vero. Ma per altri motivi: Giaki di Recanati non si lavava quasi mai. Fu questo il problema.

"Giacomo, te la sei cambiata la camicia?" gli chiedeva la madre Adelaide (che io avrei interpretato benissimo-fare la rompi è il mio mestiere). "Ecco un attimo" rispondeva lui.
I colletti delle camicie di Leopardi sono passati alla storia come i più lerci fra quelli di tutti i poeti dal Trecento in poi.
E Adelaide si disperava. In casa era lei che portava i pantaloni. Monaldo, brav'uomo per carità, si era sfortunatamente fatto intortare in alcune speculazioni scriteriate e ci aveva rimesso le mutande. Da quando si era cacciato in testa quella storia di farsi la biblioteca privata più grande d'Italia, spendeva fiumi di banconote in libri. "Per i recanatesi, lo faccio per i recanatesi, affinché possano disporre di questi ventimila volumi e vengano comodamente a prenderne in prestito quanti ne desiderano".


Biblioteca di casa Leopardi - Recanati

"Ma quei tre, non fanno altro che leggere?! Non scendono mai in piazzetta a giocare insieme a noi?!" si chiedevano i coetanei di Recanati riferendosi a Giacomo e ai suoi due fratelli Carlo e Paolina.

Monaldo se li sistemava tutti e tre nel suo studiolo e periodicamente li sottoponeva al famoso "compito in casa", ma mentre i fratelli studiavano il giusto, Giaky esagerava si perdeva dentro i libri, ci si dimenticava, poi sul suo diario la buttava in tragedia. " studio matto e disperatissimo", ma era proprio lui che voleva sgobbare.

A quattordici anni padroneggiava tre lingue antiche (latino, greco, ebraico) e tre moderne ( inglese, francese, spagnolo).

"Mi licenzio!" disse un giorno il precettore. " Questo è un enfant prodige e ne sa molto più di me, mi mette alla prova e mi fa domande trabocchetto per vedere se ci casco".


_ fine prima parte_ pausa pop corn_

siamo al cinema in anteprima ve lo siete dimenticato? lo spettacolo riprenderà dopo l'intervallo se nel frattempo non sono naufragata in questo mar!!